| I have a dream Non sarà il sogno famoso di avere finalmente un po' di giustizia e fratellanza nel mondo, ma è nobile e giusto anche l'auspicio che ci viene espresso in questo intervento. Riguarda il vecchio capannone dell'Enel, a Portoferraio, un bell'edificio di architettura industriale dei primi del '900, che andrebbe recuperato e valorizzato, ed invece...
 
 di Nicoletta May *
 
 Ho un sogno: vorrei vedere un giorno il capannone dell’Enel, proprio
 all’arrivo dei traghetti, sopra il parcheggio attualmente “decorato” da
 orrendi ed enormi pannelli pubblicitari, tornare ad essere un bell’edificio
 di mattoni e intonaco a calce, con i finestroni dell’architettura industriale
 del
 secolo scorso, le capriate d’acciaio, le griglie dei portoncini
 riabilitati a
 nuovi usi, consoni al nostro territorio.
 Un’edificio simile gli americani se lo costruirebbero in silicone, pur di
 averlo.
 A Pisa ne hanno recentemente restaurato uno adibendolo a locale per mostre,
 congressi, spettacoli. A Bologna locali simili, e con posizioni meno
 spettacolari, vengono adibiti a luoghi per giovani, sale universitarie,
 uffici di altissimo livello.
 Parigi ha rivisitato interi quartieri industriali, trasformando quei pezzi
 del suo territorio in nuovi quartieri colti, raffinati, pieni di giovani,
 musiche, mostre.
 Noi della nostra storia, cosa ne facciamo? Continuiamo a buttarla
 semestralmente nei cassonetti, permettendo che anche gli ultimi ruderi
 rimasti, acquisiti a prezzi sempre più proibitivi, vengano abbattutti per
 essere poi sostituiti da omologate villette, cemento e tapparelle e cancello
 automatico stile Casalecchio?
 Questa follia ci spinge, forse qui più che altrove, a buttare tutto ciò che
 non è più nuovo, ci sta portando a fare gli ultimi irreparabili danni.
 Il senese non sarebbe il senese senza i suoi ruderi. Panarea non sarà più
 Panarea senza le case dei pescatori, bianche e con le colonnine a calce a
 cui
 appendere i pomodori e le cipolle a maturare.
 L’Elba senza il suo passato, senza i suoi portoncini sbilenchi, i comignoli
 di mattoni e vecchie tegole, gli infissi di castagno, le sue povere e belle
 case di contadini cosa pensa di diventare?
 Un agglomerato di strade, che conducono a residences, villaggi vacanze e
 centri commerciali? Siamo davvero convinti che si poi  questo che il turista
 cerca all’Elba?
 Se questa volta non ci diamo davvero una mossa, con la logica del
 profitto ad
 ogni costo rischiamo di lasciar cancellare  per sempre una testimonianza
 importantissima, unica, della storia dell’Elba
 Il capannone Enel, è ciò che rimane di un passato di fatica, il simbolo
 della
 perduta Portoferraio industriale e del duro lavoro di centinaia di operai
 elbani, una storia di guerra, lotte e miseria che forse qualcuno vorrebbe
 dimenticare e cancellare.
 Il capannone attualmente è recintato da una rete di metallo. E’ un edificio
 immenso, con locali sotterranei alti fino a quattro piani. Oggi è rifugio
 per
 gabbiani e piccioni. Ci potrebbero stare dentro moltissimi servizi per il
 territorio che attualmente non trovano collocazione.
 Potrebbe accogliere scolaresche in visita, sale congressi, locali per mostre,
 teatro coperto per grandi manifestazioni, un museo sul lavoro che ci ricordi
 l’Elba dimenticata degli altiforni, del ferro e delle miniere e delle vigne
 strappate alla montagne. Ci starebbe anche un ostello della gioventù. Grazie
 a quello spazio Portoferraio potrebbe finalmente farsi promotrice di
 manifestazioni importanti e non solo estive. Ed una  ristrutturazione del
 capannone porterebbe valore ed una vera riqualificazione per tutto il
 quartiere intorno
 Una vera civiltà non rinnega il suo passato prossimo, anche se è intriso di
 ricordi di fatica e di miseria. Ma ne coglie nelle rughe la bellezza e i
 valori su cui ha saputo costruire il proprio presente. Non dovremmo
 dimenticarci che  ogni epoca è stata un tempo un momento presente, e poi un
 momento appena
 passato. Se tutti fossero stati colti dal nostro stesso desiderio di
 sbarazzarci di tutto ciò che non è più nuovo e lucente, omologato,
 facilmente
 interpretabile, l’Italia non avrebbe neanche una città medievale, Cosmopoli
 non ci potrebbe regalare ancora le sue mura e le sue fortificazioni, Roma
 non
 sarebbe Roma. Perché  l’Elba  dovrebbe essere fiera solo  di chiese
 romaniche, mura medicee o fortezze etrusche? C’è forse un passato
 che è meno degno di un altro?
 E’ vero, e lo so per esperienza, che quando si vive in un paese, in una
 città, lo sguardo che noi portiamo su quel territorio, a noi così familiare,
 è intimamente connesso con i nostri ricordi personali. Per questo è molto
 difficile per chi quei posti li ha vissuti come luoghi di fatica e miseria
 vederne la bellezza E liberarsi da quella memoria. Ma chi amministra deve
 far
 prova di lungimiranza, e guardare il proprio territorio al di là del contesto
 attuale o appena passato.
 Conosco un giovane sindaco di un paesino del Cadore che sta facendo
 ricostruire l’abbeveratoio, là dove suo nonno, sindaco, lo fece abbattere
 perché ricordo di un’epoca dove vacche e  abbeveratoi erano tutto un
 mondo da
 cui ci si  voleva rapidamente allontanare.
 Nella periferia di Milano, per esempio, interi quartieri operai vengono
 rivisitati per essere riconvertiti in quartieri universitari. Campus,
 teatri,
 ristoranti sorgeranno là dove prima passavano migliaia di operai al suono
 della sirena. Il nostro passato non è meno degno di quello di
 Milano, Bologna,
 Sesto San Giovanni. Potremmo esserne convinti, no?
 Per questo cari amici  vi scrivo: per favore, non lasciamo scomparire
 nell’indifferenza una costruzione che fra venti, cinquanta, cent’anni
 ragazzini e genitori potranno venire a visitare e ricordare cos’era l’Elba
 degli inizi
 del '900,  prima che l’onda lunga dell’economia degli ombrelloni e sdraio
 spazzasse via dalla battigia gli ultimi residui della loppa.
 Quei ragazzini mangeranno forse un gelato, avranno forse strani attrezzi con
 cui giocare. Ma se avremo avuto fortuna, ci sarà davanti a loro ancora il
 mare, un imprendibile golfo, una città fortificata medicea sullo sfondo. Ci
 saranno giardini intorno questo ex bestione dell’Era industriale Elbana. E
 che faranno fare escursioni appassionanti. Intorno un quartiere che non sarà
 più solo un grosso marciapiede maltenuto dove far sbarcare o sostare  le
 auto.
 Ci saranno giardini, dove i ragazzi potranno venire a baciarsi, ci saranno
 dentro luoghi dove studiare, ascoltare la musica, forse dormire, seguire
 conferenze. Ci potrebbero essere viali alberati e panchine. piste
 ciclabili e
 passerelle dove allenarsi, muri dove imparare ad arrampicarsi.
 Avanti, tutti insieme, sogniamo, per una volta. Sogniamo, per davvero e con
 forza, un luogo dove Portoferraio diventi una città europea, che accoglie i
 suoi giovani, i suoi anziani, gli sportivi, gli studiosi, gli artisti.
 Io, al posto del capannone dell’Enel, un altro centro commerciale
 insignificante, un altro mostro di cemento-perché-costa-meno, spero proprio
 di vedercelo mai. E so che siamo davvero in molti a non volerlo.
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